Noi vogliam Dio, Vergin Maria – benigna ascolta il nostro dir,
noi t’invochiamo, o Madre pia – dei figli tuoi compi il desir.
Deh benedici, o Madre, al grido della fè
Noi vogliam Dio ch’è nostro Padre, noi vogliam Dio ch’è nostro Re
Noi vogliam Dio ch’è nostro Padre, noi vogliam Dio ch’è nostro Re.
Noi vogliam Dio, quest’almo grido – echeggi ovunque in terra e in mar;
suoni solenne in ogni lido – dove s’innalza di Dio l’altar. Rit.
Noi vogliam Dio, le inique genti – rigettan stolte il suo regnar,
ma noi un patto stringiam fidenti – nessuno mai osi Dio sfidar! Rit.
Noi vogliam Dio nelle famiglie – dei nostri cari in mezzo ai cor;
sian forti i figli, caste le figlie – tutti c’infiammi di Dio l’amor. Rit.
qui ancor risuoni la Sua Parola – qui stia l’immagine del buon Gesù.Rit.
Noi vogliam Dio nell’officina – perché sia santo anche il lavor;
a Lui dal campo, la fronte china – alzi fidente, l’agricoltor. Rit.
Noi vogliam Dio nella coscienza – di chi l’Italia governerà!
Così la patria riavrà potenza – e a nuova vita risorgerà. Rit.
Noi vogliam Dio dov’è la legge – dov’è la scienza, dov’è l’amor,
dov’è chi giudica, dov’è chi regge – dove si nasce, dove si muor. Rit.
Noi vogliam Dio, perché la Chiesa – pasca le menti di verità,
perché, del vizio vinta l’offesa – levi a trionfo la Carità. Rit.
Noi vogliam Dio !Deh tu Signore, – dei figli accogli l’almo desir,
tempra le forze, cresci l’amore – per Te sia gloria viver, morir. Rit.
Noi vogliam Dio. A Lui giuriamo – serbar fedeli la mente e il cor,
servirLo liberi, sempre vogliamo – fino alla morte, gli offriamo il cor. Rit.
Fratelli unanimi, il patto antico – della Gran Vergine, sul patrio suol
Stringiam gridando, contro il nemico: – Noi vogliam Dio, Iddio lo vuol! Rit.
ALLA MADONNA DELLE
GRAZIE di FERRARA
O Vergine potente / degli angeli Regina, di fede amor ardente / Ferrara a Te s’inchina.
Saluta in Te sua forte / e celestial Patrona
Che schiude al mal le porte / che gaudio e vita dona
Di grazie o gran Signora / concedi il tuo favor
al popol che t’implora / con rinnovato ardor.
Il serto trionfante / che cingeti la testa, il tuo poter regale / al mondo manifesta.
Al cenno tuo sovrano / tutto si piega e inchina;
il Cielo e il regno umano / saluta Te: Regina! Rit:
La mano tua potente / che un dì salvò da morte /un pio adolescente
travolto da rea sorte. A noi stendi pietosa / allor che il piè vacilla
e in notte tenebrosa / la luce più non brilla. Rit.
E come intatta e bella / ai ruderi rivolta sull’Ara tua novella
tornasti un’altra volta; dalle macerie lorde / della mortal ruina
nostr’alme impure e sorde / torna a beltà divina. Rit.
Tu senti, o Madre, il sordo / rumor di cieca guerra;
e il cor di sangue ingordo / che a strage ancor si sferra.
Deh spengi, o nostra Madre / d’odio l’orrenda face;
e dona a nostre squadre / la vittoriosa pace. Rit.
Ed alla pia Ferrara / che se il periglio assale,
nel cuore tuo ripara / dall’impeto del male,
rivolgi ognor propizia / il tuo materno viso;
è al cor pace e letizia / l’amabil tuo sorriso. Rit.
FRATELLI D’ITALIA
Fratelli d’Italia, L’Italia s’è desta;
Dell’elmo di Scipio S’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma;
Ché schiava di Roma Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte! Siam pronti alla morte;
Siam pronti alla morte, Italia chiamò Rip.
Noi fummo da secoli Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo, Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica Bandiera, una speme;
Di fonderci insieme Già l’ora suonò.
Rit.
Uniamoci, amiamoci; L’unione e l’amore
Rivelano ai popoli Le vie del Signore.
Giuriamo far libero Il suolo natio:
Uniti con Dio, Chi vincer ci può?
Rit.
Dall’Alpe a Sicilia, Dovunque è Legnano;
Ogn’uom di Ferruccio Ha il core e la mano;
I bimbi d’Italia Si chiaman Balilla;
Il suon d’ogni squilla I Vespri suonò.
Rit.
Son giunchi che piegano Le spade vendute;
Già l’Aquila d’Austria Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia E il sangue Polacco
Bevé col Cosacco, Ma il cor le bruciò
Rit.
INNI E CANTI
Inni a canti sciogliamo, fedeli – al divino Eucaristico Re;
Egli, ascoso nei mistici veli – cibo all’alma fedele si diè.
Dei tuoi figli lo stuolo qui prono, o Signor dei potenti t’adora,
Per i miseri implora perdono, per i deboli implora pietà
Per i miseri implora perdono, per i deboli implora pietà
Sotto i veli che il grano compose, su quel trono ragiante di luce,
il Signor dei signori si ascose – per avere ‘impero dei cuor. Rit.
O Signor, che dllOstia radiosa- sol di pace ne parli e d’amor,
in te l’alma smarita riposa – in te sèpera chi lotta e chi muor. Rit.
IL PIAVE
Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio / dei primi fanti il ventiquattro maggio;
l’esercito marciava per raggiunger la frontiera / per far contro il nemico una barriera!
Muti passarono quella notte i fanti, / tacere bisognava e andare avanti.
S’udiva intanto dalle amate sponde / sommesso e lieve il tripudiar de l’onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero. / il Piave mormorò: “Non passa lo straniero!”
Ma in una notte triste si parlò di tradimento / e il Piave udiva l’ira e lo sgomento.
Ahi, quanta gente ha visto venir giù, lasciare il tetto, / per l’onta consumata a Caporetto.
Profughi ovunque dai lontani monti, / venivano a gremir tutti i ponti.
S’udiva allor dalle violate sponde / sommesso e triste il mormorio de l’onde.
Come un singhiozzo in quell’autunno nero / il Piave mormorò: “Ritorna lo straniero!”
E ritornò il nemico per l’orgoglio e per la fame / voleva sfogar tutte le sue brame,
vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora / sfamarsi e tripudiare come allora!
No, disse il Piave, no, dissero i fanti, / mai più il nemico faccia un passo avanti!
Si vide il Piave rigonfiar le sponde / e come i fanti combattevan l’onde.
Rosso del sangue del nemico altero, / il Piave comandò: “Indietro va’, straniero!”
Indietreggiò il nemico fino a Trieste fino a Trento / e la Vittoria sciolse l’ali al vento!
Fu sacro il patto antico, tra le schiere furon visti / risorgere Oberdan, Sauro e Battisti!
Infranse alfin l’italico valore / le forche e l’armi dell’Impiccatore!
Sicure l’Alpi, libere le sponde, / e tacque il Piave, si placaron l’onde.
Sul patrio suol vinti i torvi Imperi, / la Pace non trovò né oppressi, né stranieri!
VECCHIO SCARPONE
Lassù in un ripostiglio polveroso,Tra mille cose che non servon più,
Ho visto un poco logoro e deluso Un caro amico della gioventù.
Qualche filo d’erba Col fango disseccatoTra i chiodi ancor pareva conservar.
Era uno scarpone militar.
Vecchio scarpone Quanto tempo è passato Quante illusioni Fai rivivere tu
Quante canzoni Sul tuo passo ho cantato Che non scordo più
Sopra le dune Del deserto infinito Lungo le sponde Accarezzate dal mar
Per giorni e notti insieme a te ho camminato Senza riposar
Lassù tra le bianche cime Di nevi eterne immacolate al sol
Cogliemmo le stelle alpine Per farne dono ad un lontano amor
Vecchio scarpone Come un tempo lontano In mezzo al fango Con la pioggia o col sol Forse sapresti Se volesse il destino Camminare ancor.
Vecchio scarpone Quanto tempo è passato Quante illusioni Fai rivivere tu
Quante canzoni Sul tuo passo ho cantato Che non scordo più
Rit.
Vecchio scarpone Come un tempo lontano In mezzo al fango Con la pioggia o col sol Forse sapresti Se volesse il destino Camminare ancor.
Vecchio scarpone Fai rivivere tu La mia gioventù.
CAMPANE DI MONTE NEVOSO
Dietro i monti e i valichi tramonta il sole d’or mentre suona il vespro lontano.
Mormora ogni labbro la preghiera del Signor; quanta neve e quanto gelo in cuor! Campane di Monte Nevoso Che suonate nel vespro divin
Quel suono in un giorno radioso Salutò cento giovani alpin.
Lasciarono il bianco paesello Cento mamme altrettanti tesor
Un fior tra la piuma e il cappello E una dolce canzone nel cuor.
Ritorneremo ancor sui nostri monti E falceremo il grano al sole
Berremo l’acqua viva delle fonti Che è pura come il nostro amor.
Campane di Monte Nevoso Quei rintocchi nel cielo divin
Sembravano un grido angoscioso: Proteggete i miei giovani alpin.
Tutto fu distrutto, ma tu torni a rintoccar Campanil di Monte Nevoso
Tra le mure lacere c’è sempre un focolar Cento cuori sempre ad aspettar.
La primavera è tornata ,ha infiorato le valli e i sentieri,c he videro gli alpini partire,
e non li han visti più ritornare, ma ogni cuore aspetta, ancora ogni sera
la valle riporta l’eco di una canzone lontana quella dolce canzone d’amor.
Ritorneremo ancor sui nostri monti E falceremo il grano al sole
Berremo l’acqua viva delle fonti Che è pura come il nostro amor.
Campane col suono giocondo Invocate la pace e l’amor
Non quella che predica il mondo Ma la pace che vuole ogni cuor.
La pace, la fede La pace, l’amor.
STELUTIS ALPINIS (per me la più bella canzone di montagna)
Se tu vens cà sù ta’ cretis – là che lor mi àn soteràt
al è un splaz plen di stelutis – dal miò sanc l’è stat bagnat.
Par segnal une crosute – js dcolpide lì tal cret
fra ches stelis nàs l’arbute,- sot di lor jo duar cuiet.
Ciol sù, ciol une stelute: – je ‘a ricuarde il nestri ben.
Tu i daras ‘ne bussadute, – e po plàtile tal sen.
Quant che a ciase tu sès sole – e di cur tu preis par mè,
il miò spirt a tòr ti svole: – jo e la stele sin cun tè.
POLENTA E BACCALA’
La mula de Parenzo lioilà gà messo su botega lioilà
de tutto la vendeva, fora che ‘baccalà. Perchè non m’ami più?
Tutti mi chiamano “bionda” lioilà ma bionda io non sono: lioilà
porto i capelli neri, sinceri nell’amor. Perchè non m’ami più?
Sinceri ne l’amore, lioilà sinceri ne gli amanti: lioilà
ne ho passati tanti e passerò anche te! Perchè non m’ami più?
La me morosa l’è vecia lioilà la tegno de riserva lioilà
quando che spunta l’erba, la meno a pascolar! Perchè non m’ami più?
La mando a pascolare lioilà nel mese di Settembre lioilà
e quando vien Novembre, la vado a ritirar. Perchè non m’ami più?
La mando a pascolare lioilà insieme alle caprette, lioilà
l’amor con le servette, non lo farò mai più! Perchè non m’ami più?
Se il mare fosse de tocio lioilà e i monti di polenta lioilà
oh mamma che tociade, polenta e baccalà. Perchè non m’ami più?
Se il mare fosse di vino lioilà e i laghi de acquavita, lioilà‘
briaghi per tutta la vita: polenta e baccalà. Perchè non m’ami più?
MADONINA
A disen la canzon la nass a Napuli E certament g’haan minga tutt’i tort
Surriento Magellina tutt’i popoli I avraan cantaa almen on million de volt.
Mi speri che se offenderaa nissun Se parlom un cicin anca de nun.
O mia bella Madonina, che te brillet de lontan, tuta d’oro e piscinina ti te dominet Milan. Sotta a ti se viv la vita, se sta mai coi man in man.
Tut el mond a l’è paes a s’emm d’acord ma Milan l’è on grand Milan!
Canten tucc: “Lontan de Napòli se moeur” ma poi vegnen qui a Milan.
Adess gh’è la conzoon de Roma magica, de Nina er Cupolone e Rugantin.
Se sbatten in del Tever, roba magica Esageren, me par on cicinin.
Sperem che venga monga la mania De mettes a cantà: “Malano mia!”.
O mia bela Madonina…(per finire) Sì, vegni senza paura Nom ve slongaremm la mano Tutt el mond a l’è paes, e s’emm d’accord, Ma Milan, l’è on gran Milan.
STORNELLI DI PORTA ROMANA
Porta Romana bella, Porta Romana. Ci son le ragazzine che te la danno.
Ci son le ragazzine che te la danno, prima la buonasera, e poi la mano.
E gettami giù la giacca ed il coltello, che voglio vendicare il mio fratello.
Che voglio vendicare il mio fratello. Gettami giù la giacca ed il coltello.
In via Filangeri c’è una campana, ogni volta che la sona l’è una condanna.
Ogni volta che la sona l’è una condanna. In via Filangeri c’è una campana.
Prima feceva il ladro, e poi la spia. e adesso è delegato di polizia.
E adesso è delegato di polizia. prima feceva il ladro, e poi la spia.
E sette sette sette fanno ventuno, arriva la volante, non c’è nessuno.
Arriva la volante, non c’è nessuno. E sette sette sette fanno ventuno.
La via di S. Vittore l’è tutta sassi. L’ho fatta l’altra sera a pugni e schiaffi.
L’ho fatta l’altra sera a pugni e schiaffi. La via di S. Vittore l’è tutta sassi.
Tre cose al mondo cho non si scordano la gioventù, la mamma, e il primo amore.
La gioventù la passa, la mamma muore, resta la fregature del primo amore.
Porta Romana bella, Porta Romana, Ci son le ragazzine che te la danno.
Ci son le ragazzine che te la danno ,prima la buonasera, e poi la mano.
PORTA UN BACIONE A FIRENZE
Partivo una mattina co’i’ vapore e una bella bambina gli arrivò.
Vedendomi la fa: Scusi signore! Perdoni, l’è di’ ffiore, sì lo so.
Lei torna a casa lieto, ben lo vedo ed un favore piccolo qui chiedo.
La porti un bacione a Firenze, che l’è la mia città che in cuore ho sempre qui.
La porti un bacione a Firenze, lavoro sol per rivederla un dì.
Son figlia d’emigrante ,per questo son distante, lavoro perchè un giorno a casa tornerò.
La porti un bacione a Firenze: se la rivedo e’ glielo renderò.
Bella bambina! Le ho risposto allora. Il tuo bacione a’ccasa porterò.
E per tranquillità sin da quest’ora, in viaggio chiuso a chiave lo terrò
.Ma appena giunto a’ccasa te lo giuro, il bacio verso i’ccielo andrà sicuro.
Io porto il tuo bacio a Firenze che l’è la tua città ed anche l’è di me.
Io porto il tuo bacio a Firenze nè mai, giammai potrò scordarmi te.
Sei figlia d’emigrante, per questo sei distante, ma stà sicura un giorno a’ccasa tornerai.
Io porto il tuo bacio a Firenzee da Firenze tanti baci avrai.
L’è vera questa storia, e se la un fosse, la può passar per vera sol perchè,
so bene e’lucciconi e quanta tosse gli ha chi distante dalla Patria gli è.
Così ogni fiorentino ch’è lontano, vedendoti partir ti dirà piano:
La porti un bacione a Firenze; gli è tanto che un ci vò; ci crede? Più un ci stò!
La porti un bacione a Firenze; un vedo l’ora quando tornerò.
La nostra cittadin agraziosa e sì carina, la ci ha tant’anni eppure la un n’invecchia mai.
Io porto i bacioni a Firenze di tutti i fiorentini che incontrai.
ARRIVEDERCI ROMA
T’invidio, turista che arrivi, t’imbevi de fori e de scavi,
poi tutto d’un colpo te trovi Fontana de Trevi ch’è tutta per te!
Ce sta ‘na leggenda romana legata a ‘sta vecchia fontana
per cui se ce butti un soldino costringi er destino a fatte tornà.
E mentre er soldo bacia er fontanone la tua canzone in fondo è questa qua!
Arrivederci, Roma… Good bye… au revoir…
Si ritrova a pranzo a Squarciarelli fettuccine e vino dei Castelli
come ai tempi belli che Pinelli immortalò!
Arrivederci, Roma.. Good bye… au revoir…
Si rivede a spasso in carrozzella e ripensa a quella “ciumachella”
ch’era tanto bella che gli ha detto sempre “no!”
Stasera la vecchia fontana racconta alla solita luna
la storia vicina e lontana di quella inglesina col naso all’insù.
Io qui, proprio qui l’ho incontrata… E qui, proprio qui l’ho baciata…
Lei qui con la voce smarrita m’ha detto: “È finita, ritorno lassù!”
Ma prima di partire l’inglesina buttò la monetina e sussurrò:
Arrivederci, Roma.. Good bye… au revoir…
Voglio ritornare a Via Margutta, voglio rivedere la soffitta
dove m’hai tenuta stretta stretta accanto a te
Arrivederci, Roma… Non so scordarti più… Porto in lnghilterra i tuoi tramonti,
porto a Londra Trinità dei Monti, porto nel mio cuore i giuramenti e gli “I love you!”
Arrivederci, Roma … Good bye… au revoir…
Mentre l’inglesina s’allontana un ragazzinetto s’avvicina
nella fontana pesca il soldo e se ne va!
Arrivederci, Roma!
VOLA VOLA VOLA
Vulesse a’ ‘rvenì pe n’ora sola lu tempe belle de la cuntentezze.
quando pazzijjavam’a “vola vola” e ti cuprè di vasce e di carezze.
E vola vola volae vola lu pavone; si ti’ lu core bone mo fammec-i-arpruvà.
Na vò te, pe spegna’ lu fazzulette, se’ state cundannate di vasciarte.
Tu ti sci fatte rosce e mi scì dette di ‘nginucchiarme prime e d’abbracciarte.
E vola vola vola vola la ciamarelle; pe n’ora cuscì belle m’ùlesse sprufunnà.
Allor’ i na pupuccia capricciose, purtì la trecc-i-appèse e lu fruntine,
mò ti scì fatte serie e vruvignose ma ss’cchie mi turmente e mi trascine.
E vola vola vola vola lu gallinacce; mo se mi guardi ‘m bacce mi pare di sunnà.
Come li fiure nasce a primavere l’amore nasce da la cittelanze ,
Marì, si mi vuo’ bene accòme jere, nen mi luvà stu sonne e sta speranze.
E vola vola vola e vola lu cardille; nu vasce a pizzichille ne’ mme le puu’ negà.
PIEMONTESINA
Addio bei giorni passati, mia piccola amica ti devo lasciar,
gli studi son già terminati abbiamo finito così di sognar.
Lontano andrò dove non so; parto col pianto nel cuor, dammi l’ultimo bacio d’amor.
Non ti potrò scordare piemontesina bella, sarai la sola stella che brillerà per me.
Ricordi quelle sere passate al Valentino, col biondo studentino
che ti stringeva sul cuor?
Totina, il tuo allegro studente, di un giorno lontano è adesso dottor,
io curo la povera gente ma pure non riesco a guarire il mio cuor.
La gioventù, non torna più. Quanti ricordi d’amor!
A Torino ho lasciato il mio cuor.
Ricordi quelle sere passate al Valentino,
col biondo studentino che ti stringeva sul cuor?
I’ TE VURRIA VASA’
Ah! che bell’aria fresca, ch’addore ‘e malvarosa,
e tu durmenno staje! ncopp’a sti ffronne ‘e rosa.
‘O sole a poco a poco pe stu ciardino sponte;
‘O viente passa e vasa stu ricciulillo nfronte.
I’ te vurria vasà…ma ‘o core nun m’ ‘o ddice ‘e te scetàI’
me vurria addurmì vicino ‘o sciato tujo n’ora pur’ i’.
Tu duorme oj Rosa mia? E duorme a suonno chino;
mentr’io guardo ncantato stu musso curallino
E chesti carne fresche, e chesti trezze nere,
me mettono int’ ‘o core mille male penziere.
I’ te vurria vasà… Sento stu core tujo che sbatte comm’ ‘a ll’onne
durmenno, angelo mio, chi sa tu a chi te suonne!
‘A gelusia turmenta stu core mio malato;
te suonne a me? Dimmello…o pure suonne a n’ato?
I’ te vurria vasà…
VITTI NA CROZZA
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la
la la. La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
Vitti na crozza supra nu cantuni e cu sta crozza mi misi a parlari.
Idda m’ha rispunniu cu gran duluri iu’ mossi senza toccu di campani.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
Prestu passanu tutti li me anni. Passano e si ni ienu un sacciu unni.
Ora cha sugnu vecchiu di tant’anni chiamu la crozza e nuddu m’ha rispunni.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
Chinnaia a fari chiù di la me vita. Non sugnu bono ciuù mi travagghiari.
Sta vita è fatta tutta di dulur ie da cussì non vogghiu chiù; campari.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
La la la leru lala la la leru lala la la leru la la la la la.
Cunzatimi cu ciuri lu me lettu. Picchi’ aalla fine già sugnu arriduttu.
Vinni lu tempu di lu me rizzettu. Lassu stu beddu munnu e lassu tuttu.
La la la leru…
MISTERIU
Cand’a mie matessi eo domando paret chi solu a musca tzega joghe,
paret ch’intenda nendemi una oghe: “Deo ti nd’apo atidu e ti che mando”.
Li naro: “Si ses tue, prite tando no ti presentas, po chi t’interroghe?
Ischire dia cherrer a inoghe da inue so ennidu e ue ando”.
Si finas s’esser meu m’est ignotu po chi deo cun megus note e die
cunviva, si mi nan: “Tue ses chie?”, poto risponder: “No mi so connotu”.
Naran chi tzeltos connoschen a totu e deo no connosco mancu a mie.
Una risposta a Canti Perduti